giovedì 4 giugno 2020

STEP #18: Mai altrove?

"Lui sarà sempre là dove sono io. […] E' irrimediabilmente qui, mai altrove". Michel Foucault, filosofo contemporaneo, si sta riferendo al proprio corpo. Al corpo di ognuno di noi, a questo compagno assiduo con il quale siamo obbligati a trascorrere tutto il nostro tempo.

Premettiamo che alla base del suo pensiero vi è la concezione di Utopia come "un luogo fuori dai luoghi", tutto ciò che è fisicamente irraggiungibile per l'uomo è un utopia.

 

Partendo da questo concetto Foucault arriva ad affermare che il corpo è un luogo topico; ogni giorno la nostra persona è costretta a vivere in un corpo, e questo corpo è fisico, collocabile nello spazio. È la gabbia di ognuno di noi, e non si può fuggire. È una presenza con la quale si è condannati a condividere sempre il proprio spazio.

Tuttavia da sempre l'uomo cerca dei modi per evadere dalla propria prigione corporea, crea delle utopie. Foucault ci porta a riflettere sul ruolo che hanno ad esempio i riti della mummificazione per gli egizi, o le maschere d'oro per i micenei, o ancora tutti quei mondi fatati nei quali l'uomo  sogna corpi immensi, smisurati, che divorano lo spazio e domino il mondo (nella storia troviamo numerosissimi esempi, a partire da Prometeo fino a Gulliver).

Il trucco, i tatuaggi, le maschere per gli antichi non erano un modo per modificare la propria persona, per abbellirsi, anzi era un qualcosa per entrare a contatto con gli esseri superiori. E ancora, l'anima dove la si può collocare? Possiamo dire che alloggia all'interno del corpo, ma è libera di viaggiare attraverso l'immaginazione, attraverso i sogni: è capace di andare altrove, di distaccarsi dal corpo materiale per scoprire nuovi posti.

 

Ma se tutte queste utopie nascono dal corpo, è possibile parlare di corpo topico?

A questo punto Foucault ribalta completamente il suo punto di vista, il corpo topico diventa il corpo utopico per eccellenza, il nostro è un corpo "ambiguo", presente e assente al tempo stesso. Afferma che "Il mio corpo è la Città del Sole, non ha luogo, ma è da lui che nascono e si irradiano tutti i luoghi possibili, reali e utopici".

Così come i bambini, che non hanno l'intera consapevolezza del proprio corpo, noi inganniamo noi stessi pensando di conoscere il nostro corpo nella sua completezza. Pensiamo al retro della nostra testa, alla schiena, alle cavità presenti sul corpo. Sappiamo dove si trovano, conosciamo il loro ruolo, se qualcuno si trova alle nostre spalle percepiamo una presenza estranea. Ma noi da soli non saremo mai capaci di vederli.

 

È solo attraverso la morte, lo specchio e l'amore che l'uomo trova dei modi per placare l'utopia del corpo. La morte rappresenta il concetto di immobilità, non è più possibile un interazione con il prossimo e allora non si può più focalizzare l'attenzione su un movimento, o su una determinata parte del corpo, ma si deve considerare il cadavere come una unità. È anche per questo che nei greci la parola "corpo" veniva usata solo per riferirsi ai cadaveri (*). Lo specchio è un oggetto che da vita ad un luogo non reale. Esso però ci fa scoprire che abbiamo un corpo, che questo corpo ha una forma, che questa forma ha un contorno, che in questo contorno ci sono uno spessore, un peso: insomma che il corpo occupa un luogo. E questa scoperta la si può ritrovare anche nell'atto dell'amore. La nudità di fronte un'altra persona ti rende consapevole di ogni parte del tuo corpo, si riesce a placare l'utopia del corpo.

 

Il corpo da "gabbia" esposta al mondo, punto zero del mondo, convoglio di tutti i punti di riferimento spaziali, temporali e immaginari, diventa sorgente e volontà utopica.



  

Da <https://www.doppiozero.com/materiali/di-quale-corpo-ci-parla-foucault>


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