martedì 26 maggio 2020

STEP #8: Il dualismo Anima-Corpo secondo Platone

"L'anima è in somo grado simile a ciò che è divino, immortale, intelligibile, uniforme, indissolubile, sempre identico a se medesimo, mentre il corpo è in sommo grado simile a ciò che è umano, mortale, multiforme, inintelligibile, dissolubile e mai identico a se medesimo."

 

Il Fedone è un dialogo giovanile di Platone, in cui si affronta la ricerca della vera causa.

I personaggi che danno l'avvio al dialogo sono Fedone, giovane nobile fatto prigioniero ad Atene e in seguito riscattato da Socrate, ed Echecrate, seguace di Pitagora. Tutto il dialogo ha luogo in una cella di Atene, nel giorno della condanna e morte di Socrate.

In questo scenario, Socrate decide di ripercorrere il filone del suo pensiero riguardante la morte e la purificazione dell'anima. Infatti, anche se sa che da lì a poco sarebbe dovuto morire, egli sostiene che il vero filosofo desidera morire benchè nessuno abbia il diritto di suicidarsi. A seguito di questa osservazione, Cebete e Simmia, due filosofi che si trovavano con lui in quel momenti commentano le sue parole: ma se la morte è un bene, perché mai uno non dovrebbe suicidarsi? Perché mai un filosofo dovrebbe desiderare di morire, sottraendosi ai migliori padroni (gli dei) che si possano trovare? E' proprio questo che porta Socrate ad iniziare una discussione con i suoi seguaci sul senso della morte, le funzioni che hanno l'anima e il corpo in seguito ad essa.

Che cos'è la morte se non la separazione dell'anima dal corpo? Il filosofo disprezza i piaceri del corpo e sa che i sensi sono fallaci. Sa che non deve e non può fidarsi se non della sola anima. Desidera la morte perché spera che soltanto allora la sua anima, purificata e sciolta da ogni contatto materiale, potrà godere della piena conoscenza del vero, che era stata lo scopo di tutta la sua vita.

L'anima è come le idee, specie d'essere incorruttibile. Si può conoscere solo con l'intelletto e non con i sensi. Come tutti gli immutabili non appartiene alla sfera del visibile e del tangibile ma all'invisibile e all'intangibile. E quanto più si rifletta sul fatto che l'anima è fatta per comandare ed il corpo per servire, non si può non credere alla sua natura eterna in quanto partecipa del divino.  Poiché il predicato essenziale dell'anima è l'essere viva, essa non può accogliere in sè il suo contrario, che è la morte. Dunque l'anima è immortale. Ma se l'anima è immortale e il corpo è mortale, dopo la morte l'anima è l'unica cosa che sopravvive e quindi è libera di cercare la Verità senza essere ostacolata dai vizi del corpo.

La conclusione è accettata da Cebete, ma non da Simmia, che avanza qualche riserva; Socrate lo invita ad analizzare il problema con calma. Nel finale Socrate, su sollecitazione di Simmia, espone come potrebbero stare le cose nell'al di là. Tuttavia, conclude Socrate, nessun uomo di senno potrebbe giurare che le cose stiano davvero così. E però è meglio incantare sé medesimi con queste convinzioni.


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